16Jul2015

Calamità Naturali - La proposta Unipol

Calamità naturali, il Gruppo Unipol scende in campo.

Un quadro preoccupante di mutamenti climatici che tende al peggioramento, con pesanti ripercussioni di tipo economico.
Proposte dal mondo assicurativo per una partnership pubblico-privato.


Di Alessandra Schofield

Il Gruppo Unipol ha deciso di attivarsi per promuovere la diffusione di una cultura del rischio presso le Pubbliche Amministrazioni, il mondo imprenditoriale ed i cittadini, al fine di ridurre i danni da calamità naturale grazie ad un aumento della prevenzione sul territorio, contribuendo inoltre ad elaborare proposte percorribili a tutelare sotto il profilo economico i soggetti colpiti dalle catastrofi naturali.

Secondo i dati Unipol, il 90% delle imprese coinvolte in un evento catastrofale che rimangano inattive per una settimana, è destinato a fallire entro un anno e, come sottolinea il Gruppo assicurativo “L’attuale sistema italiano non prevede l’accantonamento di riserve per far fronte agli eventi catastrofali e ciò determina il fatto che le risorse necessarie per sbloccare gli indennizzi debbano essere individuate di volta in volta”. Unipol, che afferma di starsi dotando di strumenti di previsione e analisi che permettano di assumere questo tipo di rischi sostenendo i soggetti colpiti senza mettere in pericolo la solidità aziendale, inizia quindi un percorso nel quale mettere a disposizione le proprie conoscenze tecniche. Il primo step è rappresentato da un dossier “Unipol per il clima. Il cambiamento climatico e il ruolo delle assicurazioni in Italia”, pubblicato lo scorso 22 giugno e disponibile sul sito della Società.

Il quadro generale

Secondo le proiezioni climatiche contenute nel Quinto Rapporto di Valutazione dell’Ipcc (Intergovernmental Panel of Climate Change, cioè l’organismo Onu nato 1988 allo scopo di studiare il riscaldamento globale) alla fine del secolo si riscontrerà un aumento della temperatura media globale compreso tra 1,5 e 4,8°c rispetto ai livelli attuali, dell’innalzamento del livello medio globale marino compreso tra 26 e 98 cm e della frequenza e dell’intensità delle precipitazioni estreme alle medie latitudini e nelle aree come il Mediterraneo. Ciò provocherà conseguenze soprattutto in alcune aree maggiormente vulnerabili – in termini di riduzione di precipitazione in alcune zone e forte aumento in altre – con notevoli ripercussioni su settori legati ad agricoltura, silvicoltura, pesca, turismo estivo e invernale e settore energetico, con importanti impatti anche sulla salute umana.

I mutamenti climatici in Europa

Ma, secondo quanto riporta l’Agenzia Europea per l’Ambiente (Eea), già nel decennio 2004-2013 si sono registrate importanti variazioni in Europa: la temperatura superficiale delle terre emerse si è innalzata di 1.3°C rispetto al livello preindustriale, con ondate di calore in aumento per durata media e frequenza; le precipitazioni sono diminuite nell’Europa meridionale, dove diminuisce la disponibilità di risorse idriche, ed aumentate nell’Europa settentrionale; i ghiacciai dell’Artico, della Groenlandia e quelli alpini stanno fondendo.

La particolare esposizione dell’Italia

L’Italia rappresenta una delle aree più esposte a questi mutamenti climatici, con un aumento della temperatura media superiore a quello globale ed europeo. Mentre diminuisce la quantità di precipitazioni piovose, ne aumenta tuttavia l’intensità aumentando potenzialmente i fenomeni franosi ed alluvionali, il dissesto del territorio, il degrado delle infrastrutture e delle strutture di qualsiasi tipo. L’aumento della temperatura produce un maggior rischio di incendi. In generale, biodiversità ed ecosistemi naturali versano in stato di pericolo e numerosi settori dell’economia italiana potrebbero subire conseguenze negative per quanto riguarda la produttività agricola e peschiera; anche le attività turistiche potrebbero essere penalizzate. In particolare, vanno attentamente monitorate le aree montane alpine ed appenniniche, le aree nel bacino del fiume Po, alcune aree costiere dell’Italia meridionale e insulare.
Vi sono poi gli interventi umani che, combinati con i mutamenti climatici, aumentano i fattori di rischio: la riduzione degli alvei fluviali a causa di una eccessiva urbanizzazione, pratiche agricole e forestali che facilitano l’erosione superficiale del suolo ed i fenomeni franosi, il carente drenaggio delle strade.

Difficile farsi un’idea dei costi

Sebbene nel nostro Paese non esista uno studio analitico dell’impatto economico dei cambiamenti climatici, alcune stime parlano di un costo tra i venti ed i trenta miliardi di euro e di un’incidenza superiore allo 0,2% sul Pil. Il potenziale danno diretto atteso da alluvioni nel 2050 potrebbe attestarsi attorno a 1,6 miliardi di euro, senza considerare i potenziali impatti socioeconomici sulla
popolazione. In Italia l’85% dei comuni e quasi 500 mila imprese si trovano su un’area ad alta criticità idrogeologica.

La proposta: una partnership pubblico-privato

Il modello di gestione esclusivamente pubblica dei danni catastrofali è dichiarato insostenibile dal 2012. D’altro canto, un modello puramente assicurativo sarebbe – secondo Unipol – inapplicabile in quanto “il rischio di antiselezione (ossia il fenomeno per cui si assicurano solo i soggetti maggiormente esposti al rischio) e contemporaneamente l’elevato rischio di azzardo morale (ossia il fenomeno per il quale i soggetti non assumono comportamenti virtuosi poiché non hanno i giusti incentivi per farlo), non rendono il modello sostenibile economicamente”. Occorre quindi una partnership pubblico-privato, quale imprescindibile presupposto, nella quale lo Stato funga da riassicuratore assumendosi i rischi superiori a un dato livello di danno, consentendo alle compagnie assicurative – eventualmente anche conglomerate in pool, ovvero consorzi, per condividere il rischio di alcuni eventi, espandendo così la capacità di assorbimento del sistema – di assicurarsi a propria volta.