26Jul2015

NATURA ETICA DELLA FISCALITA'

QUALE DEVE ESSERE LA NATURA ETICA DELLA FISCALITA'?

Molti di noi proprio in questo periodo di dichiarazione dei redditi e di pagamenti Irpef, immersi in questo torrido caldo,


sentendosi vessati da un Fisco ingiusto e prepotente ai diversi livelli di imposizione, si sono domandati quale sia o quale debba essere la funzione della fiscalità per un cittadino di un Paese democratico come il nostro e perché ciascuno in proporzione al proprio reddito tra imposte tasse, tributi e contributi vari, debba lavorare i primi sei mesi dell’anno esclusivamente per pagare le cosiddette tasse.

Credo che la risposta ancora sia molto al di là da venire.

Uno dei problemi che ogni cittadino di uno stato democratico sente o dovrebbe sentire molto forte, è come deve contribuire al funzionamento della macchina statale e quali siano i benefici per sé e per la società che possano giustificare in maniera concreta questo sacrificio non indifferente.

Tali interrogativi lo inducono poi a fronteggiare due ordini di incognite: la prima relativa al come e la seconda relativa al quanto. Infatti se dal lato la nostra costituzione nell’enunciato dei quattro articoli che vedremo, sancisce l’equità del sistema impositivo e quindi l’obiettivo primario della politica fiscale nella ricerca del bene comune quale elemento portante dell’antropologia sociale della persona umana, dall’altro la sua applicazione pratica non rispecchia assolutamente le attese, anzi determinando un clima di sfiducia generalizzato promuove paradossalmente l’evasione fiscale come unica difesa contro questa inequità ed “iniquità” comunemente percepita.

Se infatti si esaminano gli articoli 2, 3, 23, 53 e 97 della nostra Costituzione, ci si accorge che il nostro sistema è forse uno dei migliori garanti dell’equità ed eguaglianza sociale, in termini di garanzia dei diritti inviolabili della persona ed i doveri inderogabili di solidarietà come si legge all’art. 2 che per correttezza scientifica riporto integralmente:

"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale."

Come possiamo osservare la nostra Costituzione mentre non sembra fare differenza che si tratti di singoli o  di formazioni sociali, aggettiva invece in modo perentorio i diritti chiamandoli non “fondamentali”, come siamo soliti sentire, bensì inviolabili, dando un senso di volontà dinamica al rispetto degli stessi. Infatti se l’aggettivo  fondamentali applicato a diritti esprime una staticità formale, l’aggettivo inviolabili implica una precisa ed ineludibile dinamica volitiva. Il tutto correlato alla caratteristica più importante dell’uomo rappresentata dalla personalità che è anche la sede per eccellenza della sua dignità umana.

Stessa cosa dicasi per i doveri che invece di essere imprescindibili in senso statico divengono inderogabili in una inequivocabile sostanzialità dinamica. L’affermazione contenuta in questo articolo appare fortemente impegnativa per chiunque si senta di appartenere alla nostra Repubblica perché questo, non solo riconosce in maniera statica tali diritti, ma li garantisce anche in maniera dinamica.

Ciò che ogni cittadino dovrebbe profondamente apprezzare è questa apertura di orizzonti tendente ad una eguaglianza sostanziale non tanto e solo di diritto quanto più di atto effettivo e quindi di fatto. Ma se questo enunciato può essere considerato una mera espressione di posizione, l’articolo successivo, il n. 3 viene a complicare in maniera notevole i casi di coscienza di tutti coloro che credono nel rispetto dei diritti e dei doveri suddetti in un clima di progettualità socio-politico-economica mirata allo sviluppo.

Recita infatti l’articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

In questa affermazione, si struttura formalmente la natura della Repubblica e con essa lo status di ogni cittadino a prescindere da qualsiasi rango o condizione di appartenenza. Infatti a salvaguardia della pari dignità sociale ed eguaglianza di fronte alla legge, il dettato successivo impegna ogni cittadino come comunità della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione alla vita socio-politico-economica del Paese. Questo articolo ci complica quindi un po’ di più le cose perché mentre nel precedente non si aveva idea del come e del quanto, con questo si comincia a configurare in linea di diritto quali siano i limiti ed i profili dell’impegno a cui gli appartenenti alla comunità statale vengono chiamati.

Approfondire dunque il senso specifico di ogni parola di questo articolo, appare un esercizio doveroso per ciascun cittadino della Repubblica, provvisto di senso civico,  per rispondere concretamente e con coerenza ai due quesiti sopra riportati.

La modalità con cui la Repubblica ottempera a queste obbligazioni autonomamente espresse appare piuttosto complessa, perché non viene dichiarato alcunché in grado di farci comprendere il come ed è egualmente assente qualsiasi indicazione concernente il quanto. Non significa però che non vi sia un presupposto di precisione implicita. Per capirlo basta fare alcuni passi avanti e giungere all’Articolo 23, in cui viene manifestata una dichiarazione di volontà inequivocabile: Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Si comincia a delineare il come rappresentato dalle due parole prestazione e imposta che ci svelano l’arcano del come: gli enunciati degli articoli precedenti si attuano attraverso una prestazione, vale a dire che il come si configura negli estremi di una prestazione personale o patrimoniale  che viene imposta. Ma, in questo come, si evidenzia anche una visione qualitativa e quindi un dover essere dell’imposizione, vale a dire che la prestazione può essere imposta solo se la volontà dei cittadini stessi attraverso il consenso legislativo si esprime favorevolmente in merito.

Quindi il rispetto dei diritti inviolabili, l’ottemperanza delle obbligazioni inderogabili,  per una formale uguaglianza di tutti i cittadini ai fini della salvaguardia della loro libertà e dell’autonomia partecipativa, si realizza con una prestazione che però, per essere legittima, deve essere sancita dalla legge.

Dal come al quanto poi, il passo è relativamente breve, basta riferirsi all’articolo 53 che recita: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività."

Ecco dunque risolto anche il problema del quanto.

Nell’ Articolo 97 I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

La nostra costituzione sancisce la responsabilità e l’autonomia del servizio alla cittadinanza da parte della pubblica amministrazione ponendo paletti di importanza fondamentale quali la rispondenza alla legge, l’assicurazione della funzionalità e dell’imparzialità del suo operato. La precisione dell’enunciato approfondisce anche i termini tassativi di riferimento come la competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari degli uffici che per svolgere tale funzione debbono conseguire il riconoscimento ufficiale attraverso la vincita di un concorso.

Senza entrare in particolarità e tecnicismi, la nostra Costituzione è in grado di comunicare con esattezza di riferimento, come lo potrebbe essere una percentuale o una proporzione in termini aritmetici, dopo il come anche il quanto ed in maniera precisa, suddividendolo in due tempi.

Nel primo in cui stabilisce la finalità del pagamento dei tributi contenuta nella parola spese pubbliche, ma si badi bene, non in termini generici, bensì ciascuno in ragione della propria capacità contributiva. E poi fornendo un criterio di proporzionalità di esatta individuazione contenuta nel concetto di criteri di progressività.

L’intelaiatura costituzionale è dunque di una precisione concettuale millimetrica, vale a dire che permettea chiunque legga di trasformare l’enunciato in prassi concreta senza pericolo di errori o equivoci.

L’intento infatti è quello di sottolineare il grande valore della solidarietà che permette il superamento dell'individualismo neoliberista di cui è intriso l'attuale contesto politico-economico.  Forse i Padri fondatori avevano già capito dove avrebbe potuto spingerci un esasperato individualismo e pertanto hanno ideato un ordito intellettuale giuridicamente perfetto che potesse tenerci fortemente uniti come Paese e come Stato perché è evidente per tutti che senza unità politica e morale non è possibile la sussistenza di una vera democrazia.

Certi di questo assunto hanno imperniato sull’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la chiave di volta del nostro sistema costituzionale per affermare la differenza tra la struttura statale e la sua componente umana: non è l'uomo in funzione dello Stato, ma viceversa, perché lo stato è la struttura derivata e perciò di salvaguardia della Comunità degli uomini al suo interno.

Tale struttura per esistere deve sostenersi attraverso la cosiddetta politica fiscale che altro non è se non una delle grandi componenti della politica economica quali la politica monetaria, la politica dei redditi, la politica sociale e la politica fiscale.

Una sottolineatura importante da fare è che mentre le differenti politiche sopra enunciate non coinvolgono direttamente la volontà del singolo cittadino, la politica fiscale invece lo pone di fronte a dilemmi non solo giuridici, ma anche morali ed etici.

Mentre nelle altre politiche è possibile risalire ad una logica fattuale accessibile sotto il profilo razionale, nella politica fiscale questo non è sempre possibile perché nella storia si è sempre dimostrato come non esistano in termini giuridici principi fondamentali a cui risalire e tanto meno che essi abbiano un valore etico universalmente valido che ne giustifichi l'imposizione.

Il problema fiscale ancorché strutturato a livello giuridico e quindi di ordine legale, non ha alcuna valenza di ordine etico o morale. Molti infatti ritengono che non pagare le tasse sia una azione non etica, in realtà se analizziamo a fondo il problema ci accorgiamo che il disparato trattamento dell’imposizione fiscale operato dai diversi Governi, dimostra che come non abbia valenza universale, ma soltanto quello pragmatico di “patto di cittadinanza”, basti pensare al fatto che l’imposizione fiscale a volte viene imposta soltanto perché si ha la residenza, anche solo nominale, in uno stato, oppure viene esercitata parzialmente o non viene assolutamente esercitata a causa di uno status di “non residenza”.

Ma allora qual è il piano idoneo a dimostrare che cosa significhi affrontare il tema dei rapporti fra cittadini e Stato e quello della unità morale e civile del paese?

Va da sé che se uno stato permette un regime fiscale molto leggero ed un altro prevede sanzioni penali che possono giungere persino alla pena di morte, ciò significa che non esiste una norma morale e tantomeno una configurazione etica della fiscalità, ma solo un accordo tra stato e cittadino in merito alla sostenibilità dell’imposizione in contropartita della fruizione di servizi pubblici indifferenziati per tutti i cittadini.

Ecco dunque il piano di riferimento: l’accordo tra lo stato ed i suoi cittadini fondato su un rapporto di do ut des.

Tale affermazione è dimostrata dal fatto che se non si è cittadini di uno stato e quindi non residenti,  non si può essere sottoposti ad alcuna imposizione fiscale da parte di detto stato.

Ovviamente non posso in questa sede entrare nel merito delle imposte, delle tasse o dei contributi, però il concetto credo possa essere facilmente compreso. Quindi l’accordo tra stato e cittadini è una maniera di mantenere l’unità della struttura statale basato sul dovere di concorrere alle spese pubbliche. Infatti non crediamo sia possibile  mantenere un ordinamento democratico laddove non vi sia un ordinamento tributario affidabile.

Però come rovescio della medaglia ci dovrebbe essere in tale accordo anche una “bilateralità” vale a dire un impegno da parte dello stato a fornire ai cittadini quei presupposti di uguaglianza e rispetto dei diritti per i quali le imposte vengono pagate.

Ecco dunque il nocciolo della questione: il pagamento delle imposte non attiene ad un problema etico o morale, bensì ad una sostenibilità proporzionata, vale a dire che ciascuno deve pagare le proprie tasse in funzione di ciò che riceve in termini di cittadinanza, vale a dire la salvaguardia non solo dei propri diritti, ma anche di quelli per cui vengono esatte le imposte.

Quindi lo stato oltre ad imporre un determinato regime fiscale dovrebbe garantire i diritti relazionali di solidarietà tra i cittadini, miranti all’unità della comunità e quindi alla salvaguardia dei presupposti democratici fondati sulla proprietà privata, sulla libertà economica, sull’equilibrio delle differenti classi sociali facendo sì che il problema fiscale non sia solo tecnico, ma che divenga anche politico e morale.

Si attiverebbe così un secondo livello di giustizia sociale, questo sì di natura etica perché si tratta di dare a ciascuno il suo.

Si creerebbero i presupposti di una società bene organizzata nella quale la selezione non avvenga per capacità reddituali o livelli patrimoniali, ma secondo il merito e non come purtroppo vediamo accadere, con i vari sistemi di elusione erosione ed evasione, secondo la maggiore o minore capacità di crearsi una rendita fiscale.

La giustizia sociale infatti si divide in tre grandi branche che attengono alle diverse configurazioni di relazione sociale. La prima concernente la giustizia legale, come rispetto delle norme sancite a livello organizzativo della società; la seconda è la giustizia redistributiva di cui la politica fiscale è una parte molto significativa e concerne il diritto di tutti ad avere un trattamento di uguaglianza perequato non secondo le capacità patrimoniali o di censo, ma secondo i propri bisogni; infine la giustizia commutativa che attiene al dovere di ciascun essere umano nei confronti dei propri simili, vale a dire il riconoscere esattamente ciò che è proprio diritto e di conseguenza anche ciò che è proprio dovere, al di là dell’imposizione fiscale.

Il dovere fiscale dunque non attiene al campo dell’etica finché non assume il grado di giustizia sociale per cui deve essere percepito come dovere di solidarietà, supportato comunque da un eguale riconoscimento da parte dello stato.

Il nostro ordinamento infatti  si è giovato anche di una sentenza della Corte costituzionale (sentenza n. 51/92) che proprio in funzione del dovere di solidarietà è giunta in qualche modo a sopprimere anche il segreto bancario.

Ma pur se nessuno ne parla in maniera concreta, non so se dovuto ad ignoranza oppure a subdola volontà dei nostri “travet” dell’Agenzia delle Entrate, di esercitare l’abuso d’ufficio (contro cui si moltiplicano i ricorsi) quando necessario a risolvere alcune situazioni scottanti, la configurazione risolutiva del problema a livello organizzativo e quindi a contenuto pattizio dovrebbe implicare due presupposti  di grande rilievo:

  1. l'imposta deve essere "sostenibile" nel senso che oltre ad essere proporzionata non deve scoraggiare la produzione del reddito e non deve diventare causa tecnica di elusione, erosione o evasione, in quanto appare reazione naturale che ciascuno tenda a ridurre l'incidenza di una tassazione ritenuta troppo elevata. Sappiamo bene che un livello smisurato e asimmetrico delle aliquote, rispetto ai benefici attesi, penalizza l'interesse del contribuente al conseguimento di un maggior reddito che viene a volte interamente mangiato dalla progressività dell’aliquota stessa;
  2. il sistema tributario deve fondarsi su un rapporto di fiducia e collaborazione tra cittadino e fisco, in un regime di trasparenza, di maggior equilibrio e di reciprocità effettiva, che possa far sostenere paradossalmente come espresso dal fu ministro Padoa Schioppa “la bellezza di pagare le tasse” e come previsto largamente nello statuto del contribuente (Legge n. 212 del27/7/2000) anche se i cambiamenti avvenuti in quest’ultimo periodo imporrebbero un suo quasi totale aggiornamento concernente almeno e soprattutto il problema della riscossione (leggasi Equitalia) che ha fatto migliaia di morti suicide, oltre che la revisione degli  art. 2. Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie; art. 5. Informazione del contribuente; art. 6. Conoscenza degli atti e semplificazione; art. 7. Chiarezza e motivazione degli atti; art. 10. Tutela dell'affidamento e della buona fede. Errori del contribuente; art. 11. Interpello del contribuente; art. 12. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali; art. 13. Garante del contribuente;  art. 15. Codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie; art. 17. Concessionari della riscossione.

Dal lato organizzativo quindi non è sufficiente affrontare il problema dell'evasione continuando a parlare di repressione inserendo pene sempre più severe o leggi invasive.

La soluzione che consiglierei sta nel creare attraverso una nuova dirigenza politica, strettamente rispettosa e consapevole dell’etica, un clima nel quale si avverta che, la razionale e uguale applicazione dei tributi, non si applica solo perché imposta da una legge formale dello Stato, ma perché la politica fiscale è l'essenza stessa dello Stato in quanto ne permette la sopravvivenza a garanzia di tutti.

Solo con ciò si può dunque fare quel salto di paradigma che permetta di inserire il concetto di etica bilaterale nella politica fiscale: la giustizia sociale.

Ciò però non può avvenire per via legislativa o per legge, ma per educazione, per una formazione che passa dai banchi delle scuole elementari e dal riscontro quotidiano dell’eticità del fisco che rinunciando allo strozzinaggio assurdo delle cartelle fiscali, a volte anche cosiddette “pazze” operi in trasparenza e secondo un dettato di legge che miri al bene comune.

La soluzione sta perciò nella presa di coscienza del cittadino che come consumatore e quindi soggetto fiscale, deve informarsi coscienziosamente per comprendere a fondo e conoscere bene i chiari limiti e i confini certi della politica fiscale.

Una politica al servizio del cittadino che rispecchi come detto, la giustizia sociale nelle sue tre grandi partizioni: legale, redistributiva ed infine commutativa. Ma ciò può essere attuato soltanto se il consumatore riunito in associazioni indipendenti saprà mitigare le scelte discrezionali dei governi ed orientare il legislatore verso la politica fiscale intesa prima di tutto come rispetto di precise regole che non possono variare per scelte contingenti e che soprattutto non “privatizzino” il regime di riscossione.

C'è l'esigenza che il sistema tributario sia e rimanga tendenzialmente statale, per quanto concerne i principi e le regole fondamentali che seguano i seguenti orientamenti:

  1. la certezza di poter valutare l'incidenza fiscale in termini di costi della propria attività economica;
  2. la semplificazione basata sull’individuazione di pochi tributi;
  3. la possibilità data a ciascuno di individuare agevolmente la norma da applicare al caso concreto;
  4. la perequazione, la giustizia fiscale, sia come persecuzione legale, che come perequazione di fatto, assenza cioè di evasione;
  5. la celerità dei procedimenti di applicazione delle imposte e dei processi connessi nonché l’abbandono della prassi tutta italiana di dover fare ricorso al “commercialista fiscalista” anche per il pagamento del tributo più elementare.

La natura etica del fisco, che deve essere coscientemente reclamata dal cittadino consumatore, dunque può essere riassunta in tre parole: sostenibilità, semplificazione, giustizia sociale.

Prof. Romeo Ciminello

Prof. Romeo Ciminello

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